E’ deceduto il 15 ottobre scorso Carlo Alessandro Rizzi (nato a Genova il 15.12.1957), medico e ricercatore, noto nel mondo dell’editoria come Giò Cappa.
Con questo nome Carlo Alessandro Rizzi aveva pubblicato recentemente due opere, la prima dal titolo “At” per Catosfera Editore presenta un misto di prose e poesie e poi Palinsesti (Ed. Tracce, Pescara 2011) , da cui sono tratte le belle poesie che qui pubblichiamo.
Palinsesti ha per sottotitolo: ‘Illuminazioni di Giò Cappa con testo a fronte’ : si tratta di un originale mixer di opere già lette e note per essere state nutrimento letterario di chiunque abbia avuto un minimo di interesse per la poesia, con rielaborazioni personali metriche dell’autore. Come dire che i concetti in poesia sono stati già detti e che non possiamo fare altro che adattarli al nostro vissuto e al nostro essere oggi. Ma c’è anche di più: un riaffermare, come sempre è stato fatto, che la letteratura serve a lenire il dolore, ad affrontare i problemi, a spiegarci, talvolta, il perchè delle cose.
Palinsesti è dedicato ‘A Viola e Adriano, l’unico amore possibile’. Viola e Adriano sono i figli che Carlo non vedeva da circa tre anni e che, non sappiamo, se ha potuto vedere prima della morte.
Lo scorso anno Giò Cappa avrebbe voluto partecipare al nostro concorso e contribuire con qualche suo scritto al nostro sito. La malattia purtroppo ha posto fine a questi e ad altri progetti editoriali. La scorsa estate, infatti, Carlo stava scrivendo altri tre libri di poesia, tra cui uno tutto dedicato ai figli (dal doloroso titolo ‘Orfani’). Ci auguriamo che le opere ultimamente scritte possano trovare una pubblicazione. Per il momento vogliamo proporre sulle pagine del nostro sito alcune delle poesie tratte da Palinsesti (Ed. tracce, Pescara 2011).
Su “Barbara” di Jacques Prévert
Per prima lessi la poesia. Poi ascoltai la canzone per rivivere in modo totale la mia sorpresa. E la sorpresa sta in quel “Barbara” chiamato a gran voce tra gli scrosci d’acqua. Ma il dubbio si scioglie: non è la “tua” Barbara, Jacques: è un altro giovane che la chiama forte, tu manco la conosci, e nessuno saprà mai di questo tuo “paterno” affetto.
Poi saranno tempi di fuoco e piombo, ed ogni illusione scolorirà. A meno che quel riso di Barbara passi attraverso le tragedie, e sia ancora ridente nello scroscio dei suoi vent’anni.
RICORDATI
Viola ricordati se ti ricordi.
Io son metereopatico inverso,
adoro lo stravento usualmente libeccio
che porta secchiate di acqua fradicia.
In specie in via Venti, nei portici,
se una ridente bambina cresciuta
è scroscio lei stessa di riso argentato,
chiamata da un giovane amante
che manco conosco
ma non me ne importa.
Viola ricordati se ti ricordi.
Fin agli otto anni sei stata bambina con me,
ridevi dell’acqua eccome ridevi,
e intanto ridevo io pure.
Ricordati se ancora ricordi noi due,
bimbetta e padre monello in età.
E se ti ricordi, illesa ti ha fatto
La pioggia di fuoco di sangue e di guerra,
ed io morto o disperso o vivo perfino,
sia pure da te sconosciuto,
ti vedo scrosciare di risa, di pioggia;
sia pur broken flower,
ti vedo da giovin signora radiosa in via Venti
per quanto sforzata di scrosci
di risa, di pioggia,
chiamata da un giovane amante
che manco conosco
ma non me ne importa.
Viola ricordati, se ti ricordi,
che le donne son belle,
sia madri, sorelle, figliette o spose d’amore,
son belle per me ancora oggi
già morto, disperso o un po’ vivo
che coglie pur sempre l’amore
e lo vive non più come dono egoista
ma qual fragoroso diluvio sui fradici giusti.
E allora ricordati, se ti ricordi, Viola,
perchè gli scrosci in via Venti,
nel farti chiamare da chi manco conosco,
tuo papà si ricorda,
sferzato da un lampo di pace
nel libeccio di noi metereopatici inversi.
Su Zacinto di Ugo Foscolo
FIGLIA, PETROSA VENERE
Poseidon, possente,
mi tieni lontano da figlia petrosa
(dal telemachino fratello, perfino):
petrosa che piena di grazia,
la Vergine Venere del primo sorriso,
petrosa per vita insolente,
che non il possente le diede,
ma Venere nera, cattiva,
ch’è stata Medea ai suoi figli
ed alla mia stessa radice ventrale di uomo.
Poseidon, possente,
tu vuoi che io vaghi al di fuori di me
per tornare itacano all’interno di me,
ai miei stessi figlietti,
alla figlia petrosa,
cui vergine la Venere buona serbò
comunque la grazia:
al mio ritorno la voglio baciare,
grazia petrosa, oltre la pietra.
Questo canto disciolto di oggi
Mi ricorda – profetico -,
il primo racconto ai ragazzi,
che calcò di Ugo poeta
l’incredibile apneusi degli undici versi, i primi;
apneusi che pare un nome d’oracolo,
e vuol dire piuttostoche chiesi ai ragazzi
nell’alba lattacea di Ionio,
veduta al largo di Zante dal cabinato vascello
che ci stava portando a Patrasso,
ai ragazzi io chiesi durante il sonetto
di undici versi più tre
di tenere il respiro per gli undici primi,
modulando con pause sintattiche
il sonetto incredibile;
così come nell’acqua, mia Petra, usi fare,
(chè Venere è acqua del possente acquietato);
con piccoli finti respiri,
così come io stesso ti faccio,
bello di sventura,
io stesso con questi ruvidi versi
senza un respiro.
Facili, invece, son gli ultimi tre:
“Tu non altro che il canto avrai del Padre,
tu non altro che il canto avrai del Padre,
tu non altro che il canto avrai del Padre”.