Storia di Chiara e Francesco: incontro con l’autrice Chiara Frugoni

Il 31 ottobre scorso si è tenuto il primo incontro con l’autore promosso dalla nostra Associazione per le attività culturali di questo 2012-13. Nella chiesa di San Pietro a Treviglio, Chiara Frugoni, ha presentato il suo bel libro “Storia di Chiara e Francesco”, una presentazione che si è ripetuta il giorno successivo su Rai 3, nella trasmissione “Le storie” di Corrado Augias.

Chiara Frugoni, scrittrice, ricercatrice e docente bergamasca, ha fornito nel suo lavoro e nel corso della conferenza, una visione laica e storicistica di questi due Santi che sono da secoli dei capisaldi del sistema religioso cristiano-cattolico.

Per questo motivo, il libro della Frugoni è interessante sotto diversificate chiavi di lettura, quella agiografica perchè restituisce l’opera di un uomo e di una donna che hanno fortemente contribuito al rinnovamento e all’azione della Chiesa, quella storica perchè spoglia le due figure da tutti gli orpelli fabulistici che le tradizioni orali e scritte hanno creato, per porre l’attenzione sulle azioni, sulle parole e sugli scritti, restituendo loro dignità e grandezza storica.

Nel redigere il libro, l’autrice ha avuto un’indubbia accortezza descrittiva: quella di porre le due figure in parallelo e in antitesi tra loro per meglio evidenziare la modernità della loro opera e delle loro azioni.

Da una parte Chiara, prima donna a scrivere una regola monastica e prima a fondare un ordine religioso che non prevedesse la clausura  ma l’azione, l’assistenza verso i poveri, malati e derelitti : dall’altra Francesco che nel momento in cui la Chiesa dimenticava il proprio messaggio e la propria catechesi di amore e di umiltà, offriva la propria vita ad esempio concreto di spritualità, di dignità attraverso il lavoro, di fratellanza ed amore attraverso la sofferenza.

Grande Francesco, perchè uomo, interprete del proprio tempo, non già solo perchè Santo; grande Chiara perchè ha segnato un cammino di parità degli ordini religiosi e di giustizia sociale.

Il libro di Chiara Frugoni è, quindi, un libro che soddisfa parecchi palati letterari; ovvero, piacerà ai cattolici credenti e praticanti che ritrovano qui i giorni, i pensieri, le azioni realizzate da questi grandi Santi; piacerà ai laici per le continue relazioni tra le due biografie e i problemi politici ed etici di una Chiesa che aveva in mano il potere e la spriritualità del mondo occidentale, ma che già era minata da critiche ed eresie e dalle continue aggressioni del mondo mussulmano.

gda

 

“Palinsesti”, nello struggente ricordo dei figli

E’ deceduto il 15 ottobre scorso Carlo Alessandro Rizzi (nato a Genova il 15.12.1957), medico e ricercatore, noto nel mondo dell’editoria come Giò Cappa.

Con questo nome Carlo Alessandro Rizzi aveva pubblicato recentemente due opere, la prima dal titolo  “At” per Catosfera Editore presenta un misto di prose e poesie e poi Palinsesti (Ed. Tracce, Pescara 2011) , da cui sono tratte le belle poesie che qui pubblichiamo.

Palinsesti ha per sottotitolo: ‘Illuminazioni di Giò Cappa con testo a fronte’ : si tratta di un originale mixer di opere già lette e note per essere state nutrimento letterario di chiunque abbia avuto un minimo di interesse per la poesia, con rielaborazioni personali metriche dell’autore. Come dire che i concetti in poesia sono stati già detti e che non possiamo fare altro che adattarli al nostro vissuto e al nostro essere oggi. Ma c’è anche di più: un riaffermare, come sempre è stato fatto, che la letteratura serve a lenire il dolore, ad affrontare i problemi, a spiegarci, talvolta, il perchè delle cose.

Palinsesti è dedicato  ‘A Viola e Adriano, l’unico amore possibile’. Viola e Adriano sono i figli che Carlo non vedeva da circa tre anni e che, non sappiamo, se ha potuto vedere prima della morte.

Lo scorso anno Giò Cappa avrebbe voluto partecipare al nostro concorso e contribuire con qualche suo scritto al nostro sito. La malattia purtroppo ha posto fine a questi e ad altri progetti editoriali. La scorsa estate, infatti, Carlo stava scrivendo altri tre libri di poesia, tra cui uno tutto dedicato ai figli (dal doloroso titolo ‘Orfani’). Ci auguriamo che le opere ultimamente scritte possano trovare una pubblicazione. Per il momento vogliamo proporre sulle pagine del nostro sito alcune delle poesie tratte da Palinsesti (Ed. tracce, Pescara 2011).

 

Su “Barbara” di Jacques Prévert

 

Per prima lessi la poesia. Poi ascoltai la canzone per rivivere in modo totale la mia sorpresa. E la sorpresa sta in quel “Barbara” chiamato a gran voce tra gli scrosci d’acqua. Ma il dubbio si scioglie: non è la “tua” Barbara, Jacques: è un altro giovane che la chiama forte, tu manco la conosci, e nessuno saprà mai di questo tuo “paterno” affetto.

Poi saranno tempi di fuoco e piombo, ed ogni illusione scolorirà. A meno che quel riso di Barbara passi attraverso le tragedie, e sia ancora ridente nello scroscio dei suoi vent’anni.

RICORDATI

 

Viola ricordati se ti ricordi.

 

Io son metereopatico inverso,

adoro lo stravento usualmente libeccio

che porta secchiate di acqua fradicia.

In specie in via Venti, nei portici,

se una ridente bambina cresciuta

è scroscio lei stessa di riso argentato,

chiamata da un giovane amante

che manco conosco

ma non me ne importa.

 

Viola ricordati se ti ricordi.

Fin agli otto anni sei stata bambina con me,

ridevi dell’acqua eccome ridevi,

e intanto ridevo io pure.

Ricordati se ancora ricordi noi due,

bimbetta e padre monello in età.

E se ti ricordi, illesa ti ha fatto

La pioggia di fuoco di sangue e di guerra,

ed io morto o disperso o vivo perfino,

sia pure da te sconosciuto,

ti vedo scrosciare di risa, di pioggia;

sia pur broken flower,

ti vedo da giovin signora radiosa in via Venti

per quanto sforzata di scrosci

di risa, di pioggia,

chiamata da un giovane amante

che manco conosco

ma non me ne importa.

 

Viola ricordati, se ti ricordi,

che le donne son belle,

sia madri, sorelle, figliette o spose d’amore,

son belle per me ancora oggi

già morto, disperso o un po’ vivo

che coglie pur sempre l’amore

e lo vive non più come dono egoista

ma qual fragoroso diluvio sui fradici giusti.

 

E allora ricordati, se ti ricordi, Viola,

perchè gli scrosci in via Venti,

nel farti chiamare da chi manco conosco,

tuo papà si ricorda,

sferzato da un lampo di pace

nel libeccio di noi metereopatici inversi.

 

Su Zacinto di Ugo Foscolo

 

FIGLIA, PETROSA VENERE

 

Poseidon, possente,

mi tieni lontano da figlia petrosa

(dal telemachino fratello, perfino):

petrosa che piena di grazia,

la Vergine Venere del primo sorriso,

petrosa per vita insolente,

che non il possente le diede,

ma Venere nera, cattiva,

ch’è stata Medea ai suoi figli

ed alla mia stessa radice ventrale di uomo.

 

Poseidon, possente,

tu vuoi che io vaghi al di fuori di me

per tornare itacano all’interno di me,

ai miei stessi figlietti,

alla figlia petrosa,

cui vergine la Venere buona serbò

comunque la grazia:

al mio ritorno la voglio baciare,

grazia petrosa, oltre la pietra.

 

Questo canto disciolto di oggi

Mi ricorda – profetico -,

il primo racconto ai ragazzi,

che calcò di Ugo poeta

l’incredibile apneusi degli undici versi, i primi;

apneusi che pare un nome d’oracolo,

e vuol dire piuttostoche chiesi ai ragazzi

nell’alba lattacea di Ionio,

veduta al largo di Zante dal cabinato vascello

che ci stava portando a Patrasso,

ai ragazzi io chiesi durante il sonetto

di undici versi più tre

di tenere il respiro per gli undici primi,

modulando con pause sintattiche

il sonetto incredibile;

così come nell’acqua, mia Petra, usi fare,

(chè Venere è acqua del possente acquietato);

con piccoli finti respiri,

così come io stesso ti faccio,

bello di sventura,

io stesso con questi ruvidi versi

senza un respiro.

 

Facili, invece, son gli ultimi tre:

“Tu non altro che il canto avrai del Padre,

tu non altro che il canto avrai del Padre,

tu non altro che il canto avrai del Padre”.

 

 

 

Il racconto vincitore del XIV Concorso Letterario Nazionale

LUNA DI CIOCCOLATO

di Maria Natalia Iiriti

Che Caterina sarebbe diventata sua moglie, nessuno, nel palazzo, nel quartiere e persino nella città in cui abitavano lo avrebbe messo in dubbio, nemmeno un minuto. I matrimoni sono scritti in cielo e lo sapevano tutti che quell’incontro di persone sarebbe diventato, prima o poi, un incontro di anime, come già alle cinque di mattina, si sapeva in anticipo il tempo che avrebbe fatto nella giornata. Che il suo e quello di Caterina sarebbe stato il matrimonio dell’anno, tutta l’isola ne era a conoscenza. Che l’unica cosa che sapesse di Caterina era che lei, andasse pazza per il cioccolato, era una cosa che solo Luigi sapeva. Solo il cioccolato, il cibo degli déi, addormentato nella scatoletta di latta, riusciva a strapparle un sorriso. Luigi, il suo promesso, andava a Modica, nella tarda mattinata, l’ora degli uomini senza ambasce e senza pensieri, entrava nella rinomata pasticceria di Francesco Bonajuto per recuperare la moneta di scambio dei sorrisi della sua futura moglie. Ma, per il resto, Luigi, il suo promesso sposo, l’uomo col quale avrebbe dovuto condividere tutto e finché morte non li avesse separati, non sapeva niente altro di lei. Caterina, per parte sua, afferrava con mani ansiose il regalo e, dopo aver sorriso a Luigi, se ne stava con le mani in grembo in astuta adorazione del pacchettino. Non aveva mai aperto un solo pacchetto in sua presenza e non aveva mai assaggiato quella squisitezza davanti a lui. Caterina, lieve come le nuvole e leggera come le rondini in volo nel cielo di maggio, aveva le idee molto chiare. E su questa questione della cioccolata aveva la certezza che niente sarebbe stato più come prima fra di loro. Luigi, vedendola mordere il tronchetto della tenerezza e della felicità che il resto del mondo chiamava cioccolata, non l’avrebbe più sposata. Ne era certa, come era certo che si chiamasse Caterina e che era figlia di sua madre e di suo padre.  E come era certo che l’unico interesse che provasse per Luigi passava attraverso il desiderio di possedere tanta cioccolata. Non appena si concludevano le visite del suo promesso sposo passate a guardarsi e a sorridere, rispondendo sì oppure no alle domande di Luigi, Caterina affondava le dita nella carta argentata, la sollevava con voluttà, lisciava la superficie della tavoletta marrone e la avvicinava piano alle narici. Così le veniva in mente il bosco e l’odore della povere da sparo del fucile del nonno. Se la passava sulle guance la tavoletta di cioccolato, prima su una e poi sull’altra. E solo così, quando il cioccolato si sfarinava al contatto con la sua pelle tiepida , solo allora Caterina se lo passava sulle labbra, come il belletto che il madre non le dava il permesso di passarsi sulla bocca. E se lo guastava in questo modo, il cioccolato, Caterina, lentamente, passando la lingua sulle labbra e accontentando il palato a piccole dosi. Se Luigi l’avesse vista… Se Luigi l’avesse vista così… Se Luigi l’avesse vista così, con le guance abbronzate dal cacao e le labbra dipinte di marrone… Se Luigi l’avesse vista così…. addio matrimonio. E addio cioccolata! Caterina chiedeva solo questo a Luigi: che, dopo il matrimonio, lui continuasse a portarle quella delizia abbrustolita che sapeva di sole e la faceva pensare al bosco e all’odore di polvere da sparo. Così, illanguidita dalla dolcezza, Caterina andava a dormire su quattro cuscini, come diceva donna Cata, la cameriera tutto fare, orfana allevata dalla famiglia che, per uno scherzo del destino e solo per l’anagrafe, si chiamava come la signorina.  Se Luigi l’avesse vista così… scuramente si sarebbe innamorato sul serio di quella ragazza, all’apparenza taciturna e insicura, che solo la vista del cioccolato aiutava a sorridere. Alle sue lettere Caterina non aveva risposto mai e Luigi si chiedeva se fosse pigrizia o timidezza.  Quindi, tanto valeva puntare sui regali al cioccolato, anche perché la cioccolateria Bonajuto aveva una commessa carina e spiritosa che sapeva fare dei pacchetti deliziosi.  E cominciò tutto così, fra un cuore di  cioccolato e un nastrino abbinato alla carta da regalo. Finché un giorno Luigi aspettò la commessa dopo la chiusura del negozio. Se Caterina l’avesse visto così… Se Caterina l’avesse visto così galante, in compagnia di un’altra ragazza che per di più lavorava in una cioccolateria… Caterina avrebbe voluto essere al suo posto di commessa, nel paradiso terrestre delle sue voluttà, molto più lì che al suo posto al braccio del fidanzato. Luigi non pensò a questa eventualità e, del resto, nessuno l’avrebbe mai venuto a sapere. Gli incontri con la commessa si fecero più frequenti. Del resto la scusa era ottima: Caterina andava matta per il cioccolato di Modica e, in particolare, quello della pasticceria Bonajuto.  Due piccioni con una fava, una via e due servizi: accontentare Caterina e vedere Giuseppina. E questa ottimizzazione delle risorse, se non coincidevano nell’etica, coincideva nel destino delle probabilità. E Luigi che aveva un animo poetico, cominciò a mandare anche a Giuseppina delle lettere, lettere d’amore e di sospiri, lettere sincere e bugiarde allo stesso tempo. Lettere vere, lettere di carta. Che Giuseppina leggeva nel retrobottega dove persino il pulviscolo era fatto di polvere di cacao e provvedeva subito alla risposta, lasciando sul foglio e sulla busta che gli porgeva quando Luigi si recava in negozio per assolvere al suo compito di fidanzato devoto, un sensuale aroma di cioccolato.  Che l’amore avesse  tempi molto brevi lo sapevano alla perfezione le famiglie di Luigi e Caterina, che s’incontrarono in un pomeriggio di maggio e fissarono le nozze degli innamorati. Luigi alla notizia, non si scompose più di tanto, mostrando maturità e cinismo in ugual dose. La novità dell’imminente matrimonio non lo distolse dalle sue usuali occupazioni. Come faceva sempre scrisse a Caterina e scrisse a Giuseppina. Due lettere uguali per due ragazze così diverse e ignare l’una dell’esistenza dell’altra eppure, in qualche modo unite nel destino dal cioccolato, che di una era la passione e il capriccio e dell’altra la missione e il lavoro. L’amore, però, non va d’accordo con la fretta. “Cara Giuseppina” lesse Caterina mentre si passava un quadretto di cioccolato sulle labbra, impallidendo, nonostante il maquillage al nettare degli déi. “Cara Caterina” lesse Giuseppina, andando subito alla firma in fondo al foglio perfettamente ripiegato, come la riga dei calzoni di Luigi. Se Luigi le avesse viste così, una con gli occhi sorridenti e l’altra con gli occhi pieni di lacrime…. Se Luigi le avesse viste così le avrebbe sposate tutte e due. Ma, dopo quella leggerezza che si era materializzata con due pezzi di carta perfettamente identici e due buste che portavano impressa il gusto della sua acqua di colonia, nessuna delle due ragazze, né Caterina né Giuseppina, avrebbero mai voluto sposarlo. Passò il tempo e Luigi aveva solo un modo per farsi perdonare da Caterina: inviargli tanto cioccolato. Ma per fare questo avrebbe dovuto recarsi alla cioccolateria Bonajuto, e incontrare Giuseppina. No, non era cosa. Luigi aveva un cuore d’asino e uno di leone. Se Giuseppina l’avesse rivisto lui non se la sarebbe cavata con un’occhiata di sdegno. Dopo varie pensate decise allora di farsi accompagnare dal suo amico Martino. Entrando nella pasticceria i suoi occhi si diressero dritti dove Luigi non sperava di trovare la commessa. Qualcuno esaudì il suo desiderio perché Giuseppina non era là. Non era nemmeno altrove nella cioccolateria di Francesco Bonaiuto. Luigi tirò un respiro di sollievo dentro al suo elegante completo da passeggio. Scelse le scatolette di cioccolato, si accontentò di pacchettini discreti, senza infamia e senza lode, orfani del gusto di Giuseppina, pagò, uscì, lasciandosi alle spalle l’acuto aroma del cioccolato e una scia di rimorso misto a rimpianto. Forse non l’avrebbe rivista mai più. E Luigi era consapevole che questo  era il prezzo da pagare per mettere la sua vita sulla retta via, al riparo da scossoni emotivi. Tra due ragazze ne aveva scelta una. Aveva vinto Caterina e il premio in palio non era Luigi, bensì il cioccolato. Già il cioccolato, questo pezzo di tizzone scolorito a cui nessuno riusciva a esprimere un giudizio tiepido. E se fosse tutta colpa o tutto merito del cioccolato? L’amore per Caterina, il matrimonio all’orizzonte, la breve liason con Giuseppina? A proposito … e Giuseppina? Come aveva preso il tradimento di un uomo, che veniva preferito a tronchetti di cioccolato che lei stessa confezionava con le proprie mani? Giuseppina non serviva più i clienti e non perché avesse timore di incontrare Luigi. Quell’uomo inutile le aveva fornito un’occasione unica, come su uno di quei vassoietti che lei preparava con cura e gusto. Giuseppina adesso  lavorava in laboratorio. Lo aveva chiesto proprio lei al proprietario Francesco Bonajuto che ci aveva pensato su qualche giorno e poi aveva detto sì, che si poteva fare. Dopo qualche settimana di lavoro in laboratorio Giuseppina si era di nuovo recata a parlare con il proprietario. Gli  aveva detto che voleva sperimentare una nuova linea di cioccolato, al peperoncino calabrese. Il signor Bonajuto aveva accettato. Giuseppina aveva allora posto una sola condizione a quel contratto bizzarro: il nome della linea avrebbe dovuto sceglierlo lei. Si strinsero la mano. “Mascalzone” disse Giuseppina. Il signor Bonajuto ritrasse gli occhi nelle orbite e la mano da quella di Giuseppina. “E’ il nome che ho scelto per la nuova linea di cioccolato” spiegò la ragazza con un sorriso e rivolgendo un pensiero distratto di sincera gratitudine al vero mascalzone della vicenda. Fervevano i preparativi per il matrimonio. Luigi e Caterina erano impazienti per diversi motivi: il primo si preparava alla luna di miele, la seconda si preparava  alla luna di cioccolato. E lei si era fatta promettere che la prima tappa dal viaggio di nozze sarebbe stata proprio Modica e la rinomata cioccolateria di Francesco Bonajuto. E’ noto che, in un triangolo amoroso, qualcuno ci rimette sempre. E un appassionato di statistica in questo caso specifico direbbe che, se non si può essere felici in tre, almeno si è felici in due. Ma ogni regola ha le sue eccezioni perché ciascuno dei protagonisti di questo breve racconto, ricevette la sua quota di felicità, alimentando un cerchio magico di piacevoli sorprese. Luigi ebbe la sua Caterina, Caterina il suo cioccolato e Giuseppina il suo lavoro in laboratorio dove, combinando passione, devozione e fantasia, creava tronchetti della felicità per gli sposi novelli Luigi e Caterina che ogni settimana si recavano a Modica, nella cioccolateria di Francesco Bonajuto, paradiso di delizia e passione.

 

Le premiazioni del XIV Concorso Letterario Nazionale

Siamo giunti al termine del XIV Concorso Letterario Nazionale TRE VILLE.

Il prossimo 26 maggio nell’Auditorium della Cassa Rurale di Treviglio in via Carcano avrà luogo alle ore 10,30 la cerimonia di premiazione dei vincitori delle tre sezioni del concorso, la poesia in lingua, la poesia dialettale, la narrativa. Come ormai si sa quest’anno, per la prima volta, il Concorso non era a tema libero: i concorrenti hanno dovuto cimentarsi con un argomento, “La mia terra, il mio paese”, e questo ha forse reso più difficoltosa la prova.

Tuttavia i concorrenti si sono cimentati ed alcune delle opere pervenute erano davvero interessanti.

A tutti, sia a quelli che hanno vinto che agli altri, diciamo di continuare a scrivere, perché scrivere è il lavoro più difficile, ma anche il più bello che possa esserci.

Il Comitato Direttivo dell’Associazione Culturale “Clementina Borghi” si congratula con i vincitori ed i segnalati e li attende alla cerimonia di premiazione che avrà luogo alle 10:30 del 26 maggio 2012 nell’Auditorium della Cassa Rurale di Treviglio in via Carcano.

Il Comitato ha stabilito le seguenti graduatorie con le motivazione redatte dalla Presidente dell’Associazione, Maria Mazza.

POESIA IN LINGUA

1° p.m. Dante Clementi per “Dopoguerra”

Motivazione: Nella memoria di un passato dipinto con i colori della tragedia e rivissuto “nella distanza quieta del sogno” appaiono i compagni di una dura esperienza, mentre un alito di bene “viene a svegliare una ingrigita brace sotto la carne” nella silenziosa dolcezza dell’ultimo saluto.

1° p.m. Gianfranco D’Ambrosio per “Festa popolare”

Motivazione: In un “grumo di mondo breve” sull’onda del riso e del canto, vive la semplice gioia di una festa popolare, nella “letizia buona” di una sera d’estate: un “nodo di luce umana” e il riso nato da un momento d’oblio, aprono il cuore del poeta alla speranza.

2° Pietro Baccino per “Il castello di Giusvalla”

Motivazione: “Una torre quadrata, l’altra tonda, la muraglia di pietre d’arenaria” sono ciò che resta del castello di Giusvalla, un rudere a ricordo di una passata potenza, in tempi lontani. Il castello di Giusvalla, oggi “sorveglia alla base il suo ruscello” come un vecchio pensoso del suo passato, ora inerme davanti alla vita.

3° p.m. Graziano Sia per “A mio padre”

Motivazione: Ricordo e rimpianto di un tempo povero ma felice. La voce del padre risuona ancora nel cuore dell’autore che vede oggi avverate le profezie di tempi peggiori.

“Se una sera d’estate tornassi…” ma niente ritorna dal passato. La grande tavola sulla quale stava il pane fragrante e il vino schietto della vicina ora è deserta.

3° p.m. Daniele Gatti per “Assurdo assembramento…”

Motivazione: “Sarà che mi hanno ucciso anche i sogni… e l’assurdo ricopre il pianeta”

Una voce di giovane in un deserto che sembra senza speranza, fra i colori fasulli dei cartelloni pubblicitari e una quotidianità fatta di non-luoghi e non-persone.

Contro l’orizzonte soffocato dal cemento, la fretta di figure anonime che non hanno tregua, in una solitudine “veleno dell’anima”. “Nell’assurdo assembramento dei binari” Daniele deve trovare quella rotaia salvifica che porta alla conquista di sé, sotto il messaggio dei soli che tramontano nelle volte celesti.

POESIA DIALETTALE

1° Sergio Gregorin per “Iera ‘na volta la Bora “

Motivazione: La bora di Sergio Gregorin scompiglia la quiete del vecchio borgo, trascinando le foglie in mulinelli “como la bora…. un rèful xe la me ànema….” Che si trascina lungo il borgo della vita, in attesa di pace. Il verso breve segue l’incalzare del vento e la ricerca di un uomo sospinto dalle tempeste della vita.

Iera ‘na volta la Bora

2° p.m. Marino Ranghetti per “La dòna del zoch”

Motivazione: In questa poesia una leggenda, quella del fantasma di donna che si aggira la notte per spaventare coloro che rientrano dalle case da gioco. Il verso che narra le sue trasformazioni è fluido e incalzante come i moti del fantasma: ora è una bambina china sul fosso a lavare, ora si aggira nei boschi con tutti i suoi cani. La paura della notte prevale, nonostante le stelle.

La dòna del zöch

2° p.m. Franco Milanesi per “En vul de farfala”

Motivazione: Sogni di ragazza, mentre scartoccia le pannocchie o corre in paese a piedi scalzi e gli zoccoletti in mano, con il vestito buono della domenica; immagini di un tempo lontano, di una vita fatta di niente e di sogni leggeri come il volo d’una farfalla.

En vùl de farfàla

NARRATIVA

1° Maria Natalia Iiriti per “Luna di cioccolato”

Motivazione: Il profumo del cioccolato richiama alla mente di Caterina il bosco e l’odore della polvere da sparo nel fucile del nonno.

Due donne, Caterina, la ragazza di Luigi, e la commessa carina e spiritosa della cioccolateria Bonajuto. In mezzo, un uomo facile ad essere sedotto. Su tutto e tutti, protagonista assoluto, il cioccolato. Nel vivace contrappunto di periodi brevi, l’autrice traccia la vicenda dei suoi personaggi, ciascuno dei quali consegue, alla fine, la sua fetta di felicità.

2° Giuliana Salerno per “ Le primule di Palinuro”

Motivazione: Due mondi, uniti dalle primule di Palinuro: un Sud straripante di vita e di colori, un Nord che sa accogliere, ma anche che pone precisi confini. Sopra tutto questo, una fioritura miracolosa di primule che richiama alla mente della protagonista le caprette, i pini di Aleppo, lo splendido mare della sua terra. La prosa è mossa e irrequieta, a metà tra la realtà e il sogno.

Le primule di Palinuro

3° Daniela Invernizzi per “La ferrovia”

Motivazione: I ricordi ci costringono “a riguardare indietro, o a guardarci dentro”.

Mino, il padre, rivive nella memoria un passato oggi inconcepibile, quello dei giochi in libertà, i giochi di strada, le biglie colorate, il gusto dell’avventura.

Un grosso sanbernardo che “sapeva sorridere” fra tanti ragazzi è il vero protagonista del racconto che scorre con il lento ritmo del ricordo sulla scarpata della ferrovia.

Con la morte del cane finisce il gioco di allora; oggi, sull’onda della memoria, il fanciullo Mino, divenuto padre, dona a suo figlio un piccolo cane, Bernardo, a ricordo di quello che “sapeva sorridere” e che il treno aveva ucciso.

La ferrovia

Segnalati:

  • Aurora Cantini per “Una tra i mille”
  • Luciano Tornese per “Quella belva”

Il Comitato Direttivo dell’Associazione Culturale “Clementina Borghi” si congratula con i vincitori ed i segnalati e li attende alla cerimonia di premiazione che avrà luogo alle 10,30 del 26 Maggio 2012 nell’Auditorium della Cassa Rurale di Treviglio in via Carcano.